Report primo maggio a Monfalcone

Monfalcone, cittadina all'estremo nord del Mediterraneo in cima al mare Adriatico, è famosa per la sua industria cantieristica e per la sua amministrazione guidata dal sindaca sceriffa Anna Maria Cisint. Quest'ultima – vicinissima a Salvini e Vannacci – dato il suo ormai pluriennale governo della città che ha dato risultati del tutto inconcludenti sul piano sociale e politico, è costretta ad una propaganda mediatica sempre più spregiudicata e volgare. Le sue uscite razziste e xenofobe sono ormai pressoché quotidiane diventando note fino sulla stampa nazionale e internazionale.

Per porre argine a questa deriva la sinistra istituzionale brancola nel buio e non può far altro che inseguire la sindaca nei suoi continui rilanci verso posizioni sempre più intransigenti, nazionaliste, xenofobe.

In aiuto e forse per ridefinire equilibri politici tra le varie forze della sinistra quest'anno le segreterie nazionali dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL hanno deciso in modo piuttosto frettoloso e mal organizzato di fare una toccata e fuga nella città dei Cantieri più che celebrare una manifestazione nazionale per il primo maggio.
I tre leader sindacali Bombardieri, Sbarra e Landini infatti sono stati in zona meno di quanto non rimase Gabriele D'Annunzio poco più di cento anni fa. Arrivati in ritardo di rito se ne sono andati prima di pranzo per poter poi trasferirsi a Roma al concertone rituale in piazza San Giovanni in Laterano.

Come anarchici dal 2018 abbiamo riportato, assieme ad alcuni sindacati di base e associazioni, la manifestazione del primo maggio a Monfalcone, nella piazzetta dedicata agli Esposti Amianto.

Eravamo stufi dell'inutile passeggiata a Gradisca – in un grazioso giardino lontano anni luce dai conflitti e dai problemi del lavoro della città/fabbrica di Monfalcone – voluta e organizzata negli scorsi anni dai sindacati confederali per evitare screzi politici tra le strutture sindacali di Gorizia e Monfalcone.

Non ci basta però soltanto il cambio di luogo: quello che vogliamo è un momento di lotta, di rivendicazione, fatto dai lavoratori e non da strutture lontanissime dai loro bisogni che del resto hanno scelto Monfalcone solo nella indisponibilità di Gorizia mortificando la località del basso isontino che risulta quindi essere una seconda scelta.

L'incursione dei confederali è stata di poche migliaia di lavoratori e lavoratrici: perlopiù pensionati provenienti da fuori regione. Un numero molto deludente per una manifestazione nazionale. Soddisfatti comunque gli esercenti che hanno visto – con il compiacimento della sindaca – riempiti i propri locali e le tasche in un contesto di progressiva desertificazione del centro. La piazza dava una illusione di pienezza solo per la profusione di bandiere regalate ai passanti (non era raro vedere soprattutto bambini di origine bangladese con gadget di tutte e tre le sigle sindacali).

Noi NON siamo andati in piazza della Repubblica a sentire i soliti discorsi vuoti, di strutture che hanno rinunciato al loro ruolo di lotta, permettendo il peggioramento della vita di chi lavora, del suo salario, delle sue pensioni, del suo accesso alla salute.

Miseria della politica e miseria lessicale. Le parole con la F sono sparite dal vocabolario politico a Monfalcone. Dopo un 25 aprile in cui negli interventi istituzionali non si è sentita la parola “FASCISMO” alla manifestazione nazionale dei sindacati confederali CGIL-CISL-UIL nessuno ha avuto l'onestà di citare la grande fabbrica “FINCANTIERI” parlando delle condizioni di lavoro di Monfalcone.

Per questo ci siamo trovati in una piazza piuttosto defilata date le prescrizioni che ci sono state inflitte dall'amministrazione locale che, con cavilli normativi o se serve con sanzioni, rende impossibile l'attività politica in città.

Vogliamo una piazza che parli delle condizioni di lavoro nella nostra città, dentro e fuori dal cantiere, di chi qui è nato e di chi qui ha scelto di vivere.

Non vogliamo nella nostra piazza nemmeno sentire l'odore di chi governa questa città alimentando la guerra tra poveri e alimentando l'odio etnico. E ci fa profonda tristezza e rabbia che i sindacati confederali abbiano prestato il fianco a questa amministrazione anche con degli inutili protocolli per la manodopera.

Vogliamo una piazza che rivendichi un'economia di pace e non di guerra, non vogliamo che dalle “nostre” fabbriche (vedi Leonardo e Fincantieri) escano strumenti di morte per i conflitti di mezzo mondo.

Vorremmo provare ad immaginare un altro futuro per la nostra città, che non sia quello di dormitorio della sua industria e che questa industria produca benessere e non sfruttamento.

Vogliamo che vengano prodotti beni utili per le persone ed inseriti nella lotta al cambiamento climatico, al contrario di quello che succede con le navi da crociera, beni di lusso con un impatto ambientale insostenibile.

Vogliamo ricordare che quest'anno ci sono stati due incidenti con gravi conseguenze alla Fincantieri e alla SBE, e che le condizioni di sicurezza stanno arretrando di pari passo con le condizioni economiche e sindacali.

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