“ANARCHIA NO XE CAOS”: L’ESPERIENZA LIBERTARIA DI MARIO CANDOTTI

da Germinal n° 117

Molti conoscono Mario Candotti a  Ronchi e nel monfalconese per il  suo impegno nell’ANPI e nell’ANED, oltre che per le drammatiche  vicende che hanno coinvolto lui e la  sua famiglia durante il secondo  conflitto mondiale (i genitori morti in  campo di sterminio in Germania  dove pure Mario e due sorelle  vennero internati e due fratelli  partigiani morti durante la lotta di  liberazione).
Poco nota – se non del tutto  ignorata – è invece l’esperienza  libertaria che Mario insieme ad  alcuni altri visse negli anni ’50 e fino  ai primi anni ’70 nel monfalconese e  in cantiere.

Mario Candotto (all’anagrafe, ma lui  si presenta come Mario Candotti  con la I finale) nasce a Porpetto  nella bassa friulana assieme ad altri  sei tra fratelli e sorelle. Quando è  ancora un bambino la famiglia si  trasferisce nel monfalconese perché  il padre perde il lavoro da  sacrestano e subisce l’isolamento  da parte della comunità nel  momento in cui uno dei fratelli di  Mario rifiuta di proseguire gli studi al  seminario.
A Monfalcone i fratelli prima e Mario  poi entrano in cantiere, dove il  confronto con la massa di operai  inizia a dar loro una coscienza di  classe e li allontana dai pregiudizi  religiosi vissuti in famiglia.
Con lo scoppio del secondo conflitto  mondiale il fratello Massimo viene  costretto ad arruolarsi nella milizia  fascista conoscendo l’orrore, la  violenza e l’ingiustizia della guerra,  che racconta in famiglia ogni volta  che è in licenza.
Questo assieme alla vita dura fa  maturare in Mario un profondo odio  verso il fascismo, al cui crollo i due  fratelli maggiori Renzo e Massimo  vanno partigiani.
Combattono già durante la battaglia  di Gorizia nella “Brigata proletaria”  formata da operai del cantiere di  Monfalcone (molti dei quali – come i  miliziani spagnoli – vestono il  “terlis”: l’abito da lavoro dei  cantierini). La brigata viene annientata dai nazisti e tra i molti  caduti c’è Massimo Candotto.
Renzo invece sarà tra coloro che  hanno costituito la brigata Triestina  e morirà anche lui in montagna.
Mario invece non ha partecipato alla  Resistenza direttamente perché la  madre glielo ha impedito vista la  giovane età, ma mentre lavora alla  Todt fa parte di una cellula  comunista attiva a Ronchi.
La sua esperienza più drammatica  comincia il 24 maggio 1944 quando  a causa di una delazione viene  deportato assieme a tutta la sua  famiglia, esclusa una sorella che  viveva già fuori di casa. Dopo una  ventina di giorni agli arresti ed una  sommaria identificazione viene  mandato in Germania: destinazione  Dachau.
L’esperienza tragica  dell’internamento segnerà  profondamente il giovane Mario, che  qui perde entrambi i genitori; la  situazione ineffabile e disumana tra  l’altro lo farà allontanare ancora di  più dalla religione.

“L’esperienza che gò vù in  Germania un che no gà provà nol  pol capir. Perché te rivi al punto  della sopravvivenza che te rivi a  negar anche il tuo simile, il tuo  consanguineo. Mi gò visto fradei  che se negava il pan un con l’altro.
Lì gò fatto un’esperienza che gò  capì che l’omo xe tant egoista e  individualista.
Dopo quel che gò provà. Dove iera  Dio? Se iera un dio doveva  incenerirli quei aguzzini che ne  tormentava. Doveva incenerirli  prima de rivar alla mente. Allora no  posso creder: no esisti un dio. Mi  son rivà al punto de dir che un che  disi de creder a qualcosa oltre al  suo essere, soprannaturale, quel xe  un vile secondo mi. Mi devo lottar  con le mie forze. Allora mi digo  l’umanità xe proprio vile.”

Rientrato a Ronchi alla fine della  guerra, Mario, viste anche le  difficoltà a trovare lavoro, sceglie di  trasferirsi in Jugoslavia insieme a  migliaia di altri monfalconesi,  seguendo quello che poi si è dimostrato il vacuo sogno di  “edificare il socialismo”.
Rientrato alla fine del ’47 dopo un  anno trascorso a Belgrado, dove già  nota la corruzione e il  malfunzionamento della produzione  industriale, decide di non tornare in  Jugoslavia e di non prendere più la  tessera del partito comunista.
La delusione per la scelta socialista  e internazionalista tradita dalla  burocrazia e dall’autoritarismo russo  e jugoslavo è cocente per Mario che  però, avendo fatto domanda in  cantiere come ex deportato,  perlomeno riesce a trovare lavoro a  differenza di molti suoi compagni.
Ed è proprio in cantiere che Mario  sente parlare di anarchismo,  iniziando a leggere e ricevere  Umanità Nova e L’adunata dei  refrattari.
Tra i simpatizzanti libertari trova  Vittorio Malaroda, Ugo Miniussi,  Fortunato Capra ed altri.
Assenti i libertari della precedente  generazione, la maggior parte dei  quali del resto non lavorava in  cantiere.
Gli incontri sono sporadici ed  informali ed il gruppo non è molto  strutturato né sindacalmente attivo.
Alla fine degli anni ’50 in cantiere  inizieranno una serie di partecipate  assemblee in cui si discute di  religione. Tra i relatori (tutti  lavoratori del cantiere) un prete, un  pastore evangelico, un comunista e per i libertari Mario Pacor:  comunista convertitosi  all’anarchismo dopo l’accordo  Ribbentropp-Molotov, volontario  nella guerra civile spagnola e  fuoriuscito in Francia, al suo rientro  in Italia, come altri sloveni della  minoranza, viene arruolato  coattivamente nei battaglioni  speciali dell’esercito italiano e  mandato in Sardegna.
Le  assemblee in cantiere cessano  quando ormai il confronto diventa  impossibile causa l’irrigidirsi delle  rispettive posizioni e il conseguente  scontro che arriva talvolta quasi alle  vie di fatto. Di quell’epoca Candotti  conserva ancora un vecchio  opuscolo di N. Simon probabilmente  della collana Il pensiero anticlericale  edito da La rivolta di Roma e  intitolato Preti e superstizioni  risalente al secondo dopoguerra e  un altro opuscolo di tema analogo  presumibilmente della stessa  collana del 1955.
Il gruppo libertario  sopravvive fino alla fine del 1969.  Dopo la strage di piazza Fontana, ci  saranno circa una decina di  perquisizioni in provincia di Gorizia  ed esclusi un paio di militanti de Il  Manifesto di Gorizia, e altrettanti  vicini a gruppi marxisti-leninisti,  saranno proprio i militanti del gruppo  anarchico monfalconese a subire la  repressione.Fortunato Capra a  Polazzo, Balduino Zambon, Mario  Visintin e Mario Candotti a Ronchi e  Vittorio Malaroda a Monfalcone  avranno la visita invadente delle  forze dell’ordine: la casa di Candotti  viene circondata dai carabinieri e  anche da Capra rovisteranno dal  tetto alla cantina terrorizzando la  moglie, sequestrando stampa  anarchica, qualche volantino e nulla  più.
L’azione repressiva del resto  contiene anche dei particolari  decisamente comici. Quando ad  esempio i carabinieri vanno a  perquisire la casa di Mario Visintin,  perquisiscono un omonimo  totalmente estraneo a qualsiasi tipo  di attività politica; durante la  perquisizione a casa di Candotti  quando i carabinieri trovano una  scatola contenente la  corrispondenza internazionale in  esperanto vanno in fibrillazione.
La  repressione riesce comunque  nell’intento di scardinare anche  questa residuale presenza libertaria:  Capra lascia definitivamente il  gruppo su pressioni della moglie ma  forse anche perché nel  frattempo  ottiene una promozione in cantiere, i  giornali non arrivano più e anche  Mario Candotti  inizia a mollare.
Il  precipitare negli anni di Piombo, in  cui troppo spesso si è associato il  terrorismo all’attività dei gruppi  libertari, farà sì che Mario si  riavvicini al partito comunista che  nel frattempo si è avviato ad una  ambigua, lenta e forse mai finita  operazione di destalinizzazione.
Tuttora Mario – a dispetto dei suoi  86 anni – è una persona gioviale,  attiva e dinamica e non ha perso  tratti del suo anarchismo che  riconosce tuttora come “ideologia  perfetta” anche se poi aggiunge  disincantato che “nel mondo attuale  è un’utopia”. In ogni caso il suo  salace anticlericalismo, l’impegno  antifascista, l’internazionalismo, la  corrispondenza esperantista e la  difesa del territorio – testimoniata  anche da un adesivo NO TAV  bilingue italiano-sloveno sulla sua  utilitaria – ne sono segni evidenti e  indelebili.
Luca

“La genta dovria legger, capir.  Almeno gaver il barlume: no dir che  l’anarchismo xe caos. Queste xe  stupidaggini che disi la gente.  Anarchia xe caos? No xe vero!”  Mario Candotti

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Oltre ai diversi incontri che ho avuto con Mario e altri militanti e partigiani che lo conoscono ho consultato:

M. COSLOVICH, Racconti dal Lager, Mursia, 1997 (in particolare il capitolo 2)

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