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La precedente edizione scaricabile:
Umberto Tommasini L'anarchico triestino
Nota di correzione e integrazione del testo di Umberto Tommasini (edizione del 1984)
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Presentazione di un progetto di un film su Umberto Tommasini
AN ANARCHIST LIFE
ivan bormann – fabio toich
http://www.produzionidalbasso.com/pdb_704.html
www.produzionidalbasso.com/pdb_733.html
Dando del tu al mondo. An anarchist life articolo su Umanità Nova
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Intervento per la presentazione Il Fabbro Anarchico, memorie di UT…
Le ricche memorie di Umberto offrono molteplici riferimenti a problemi politici, ideali e umani che non sono tuttora risolti. O superati.
Egli è stato, e si definiva così, uomo d’azione, cioè militante pronto a prendere le iniziative che il momento e il movimento richiedevano. Dalla lotta violenta, anche con tentativi di attentati a Mussolini, agli attacchi a stalinisti che infangavano la memoria di compagni come Camillo Berneri. In tempi più recenti il contesto cittadino e non solo sfavorevole ma con qualche nuova speranza lo aveva spinto ad assumere altri impegni: parte dell’affitto e della gestione della sede di via Mazzini 11 nonché la vendita per strada di “Germinal” e pure interventi in assemblee di piazza durante le Marce antimilitariste.
In casa, nella famiglia socialista di Trieste-Vivaro, agli albori del Novecento aveva imparato come dalle parole occorre passare ai fatti senza incoerenze. Se ai primi del secolo ciò aveva voluto dire aprire una biblioteca circolante (la prima della Destra Tagliamento), nella rivoluzione e guerra civile spagnole di trent’anni dopo ha voluto dire mettere in gioco la vita senza remore. L’azione sfortunata del febbraio 1937, che prevedeva l’affondamento di navi franchiste nel sud della Spagna, era molto prossima alla morte probabile.
Nel suo avvincente racconto reso a Vivaro nel 1972, che solo la tenacia di Clara Germani ha potuto trasformare in più di 500 pagine scritte (senza computer!), le ricostruzioni di rischiose circostanze non mancano, anzi. Questa autobiografia si può leggere anche come un libro di avventure di un anarchico del XX secolo. Nelle centinaia di episodi narrati, emerge però in modo molto evidente, i profondi valori etici del protagonista. Tra l’altro, egli era un militante che si è fatto pregare molto per rendere le memorie orali (le uniche che poteva dare) per non esaltare troppo il proprio ruolo individuale e dare sempre lo spazio all’azione degli altri compagni e compagne. Per fortuna – come succede talvolta agli anziani che hanno molto da dire, ma che si sono abituati alla prudenza e alla riservatezza (anche per il valido motivo di evitare la repressione) – alla fine Umberto si è reso conto che era necessario che la sua esperienza non fosse travolta dal passaggio del tempo e dalla inevitabile fine biologica. Il senso di responsabilità alla base della decisione di raccontare si fondeva con la volontà di evitare che cadesse ulteriormente il silenzio, o peggio la calunnia, sulle attività anarchiche a cui aveva partecipato.
Al tempo stesso, Tommasini rivelava, in quell’estate della conversazione, (quasi inconsapevolmente) fatti assai poco noti come un attentato a Mussolini nel 1937, quasi del tutto rimosso in quanto fallito nelle prime fasi. E altri episodi ignorati dai libri di storia del movimento operaio e legato alla Spagna come l’epica, per quanto ridotta nelle dimensioni, battaglia di Monte Pelato di fine agosto 1936 sul fronte aragonese. Lo scontro armato, terminato con la vittoria della Sezione italiana diretta da Carlo Rosselli e Camillo Berneri affiliata alla CNT-FAI, avveniva in un momento nel quale il golpe dei generali, tra cui Franco, si sarebbe potuto battere. Ma le titubanze diplomatiche delle cosiddette democrazie occidentali e pure, per alcuni mesi, dell’Unione Sovietica avevano di fatto boicottato l’iniziale risposta vincente dell’antifascismo libertario spagnolo e di quello internazionale subito accorso.
Al di là degli eventi ricostruiti con passione ed efficacia (si veda il lusinghiero giudizio di Claudio Magris: “un libro epico, una voce straordinaria”) si percepisce uno spessore morale che la modestia personale di Umberto, semplice compagno tra i compagni, celava quasi del tutto. La coerenza e la continuità del suo impegno si erano concretizzati in quasi 70 anni di lotte: dallo sciopero generale spontaneo di protesta per la fucilazione del maestro libertario catalano Francisco Ferrer nel 1909 fino alle azioni degli anni ’70, tra cui uno scontro nella sede con una squadra fascista messa in fuga.
Il movimento nel quale Umberto si trovava bene era quello aperto e stimolante che offriva, tra gravi contraddizioni, l’ambiente studentesco del Sessantotto triestino. Per lui, che aveva 50 anni più di noi, non c’era il pericolo di cadere nel paternalismo. Non disse mai cosa bisognava fare, ma esprimeva la propria idea e valutazione ascoltando quella di un gruppo di giovani spesso schematici e velleitari, com’era molto frequente anche negli ambiti anarchici negli anni ’70. Eppure la sua posizione di rispetto, pur nell’ambito dell’organizzazione, delle scelte e responsabilità individuali creava un clima di realizzazione libertarie che i pochi strumenti tecnici disponibili permettevano di trasformare da idea in azione. E fu questo esempio tranquillo e sereno che ci aiutò, nei primi anni ’70, a superare l’ostacolo posto da chi, pur dichiarandosi anarchico, vedeva nell’organizzazione uno strumento collettivo che poteva contare di più della libertà individuale.
Si potrebbero citare pure alcuni momenti nei quali la fiducia di Umberto verso l’umanità in generale gli aveva fatto compiere degli errori di valutazione e di comportamento. Ma questa, per così dire, ingenuità penso non sia possibile accantonarla per far spazio ai giochi politici più scaltri e manipolatori. In fin dei conti, e Umberto lo aveva ben chiaro, se passi avanti verso l’anarchia si compiono o meno dipende del tutto dalle coscienze dei nostri interlocutori: uomini e donne oppressi ma ribelli, sfruttati ma non rassegnati, poveri di beni materiali ma ricchissimi di dignità e di utopia.
Claudio Venza