L'ipocrisia della nostra memoria

Lo stesso popolo che oggi piange i propri morti sta preparando il terreno alle lacrime di altre genti. Da perseguitati a persecutori. Da vittime a carnefici. Ma ebrei e palestinesi sono per me solo un capro espiatorio dell'ipocrisia dominante. Così la Giornata della Memoria assume lo stesso valore del Natale o di S. Valentino: essere buoni verso il prossimo UNA VOLTA l'anno, ricordarsi di avere una moglie UNA VOLTA l'anno, tenere a mente la brutalità a cui può arrivare l'essere umano UNA VOLTA l'anno. Per pulirsi la coscienza, certo, così da continuare ogni giorno a fare come sempre facciamo, ma sollevati.
Perché lo spauracchio del nazismo non è un fatto storico. Non è Auschwitz. E' di più. E' una mentalità. Un modo di pensare sopravvissuto alla sua epoca che appartiene alla maggioranza delle persone che il 27 gennaio piangono e commemorano l'Olocausto; e mentre, oggi, ricordano il ghetto di Varsavia e la Porrajmos, da domani vorranno vedere i mussulmani palestinesi ghettizzati e nascosti dietro al muraglione e il campo nomadi della propria città sgomberato. In 70 anni cos'è cambiato?
“Ricordiamo, affinché niente di tutto ciò possa riaccadere”. Ma io ricordo, e riaccade.
Non si chiama più “superiorità della razza”, ma la stessa idea si identifica oggi in più parole che la significano, che guarda caso non si escludono a vicenda, anzi – problema immigrazione, problema sicurezza, questione rom, clandestini, cpt (o cie), invasione islamica e/o cinese, omosessualità, missione di pace preventiva, ecc. – e tutte volte ad accendere nel nostro ego un'idea dell'altro che ci porta ad identificarlo come diverso e pericoloso, spianando il terreno a nuovi tipi di scontro.
E se vogliamo dirla tutta -e vogliamo- a questa prima contraddizione così subdola del nostro modo di fare se ne aggiunge subito un'altra: in un anno, nel mondo, il capitalismo di cui siamo complici fa più morti di tutti i nazismi, comunismi e -ismi vari messi assieme. Ma questa volta noi ci siamo. Questa volta più che da ricordare c'è da fare; prima che il nostro presente diventi ogni ora di più il solito passato da non ripetere.
C'è un sindacalista sudamericano morto ogni volta che bevo un bicchiere di Coca-cola, c'è un bambino indiano senza infanzia ogni volta che indosso le mie Adidas, nella catenina d'oro del mio battesimo c'è un papà africano che non è tornato a casa dalla miniera, c'è un giovane ragazzo bosniaco amputato dalle mine ogni volta che fumo le mie sigarette slovene, e c'è un bambino iraqeno mai nato nel mio pieno di benzina.
Spero che i miei nipoti e così i loro figli non commemoreranno quest'epoca per le sue atrocità e i suoi morti, avendone di propri, ma che ogni anno in un giorno simbolico di un mese simbolico, ci ricordino per la nostra ipocrisia, in un tempo in cui non esisterà più.
Affinché non possa mai più riaccadere, ma davvero.
Luca F.

Questa voce è stata pubblicata in storia. Contrassegna il permalink.