Monfalcone non è mai stata così nera, gretta, meschina, divisa, ostile, brutta.
Una città nata bastarda con tutte le genti del litorale si ritrova ad avere un governo della città che ha imposto quote razziali per i bambini nelle scuole, ordinanze contro i negozi etnici, provvedimenti contro gli operai in pausa pranzo o a fare uno spuntino all’uscita dal lavoro, attacchi, in nome del decoro, a tutto ciò che c’è di vivo in questa città all’estremo settentrione del Mediterraneo.
La sindaca o meglio il sindaco, che non vuole si declini il suo ruolo al femminile, governa con maschio vigore fintanto che non si confronta con i poteri forti della città. Centrale a carbone, cantiere, porto, che in campagna elettorale la vedevano sbraitare e sbattere pugni sul tavolo accampando pretese e ruttare diktat, non sono più in agenda. La grande fabbrica, che tutto decide ora come cento anni fa, non è più in discussione e anzi è fedele alleata di questa amministrazione. Quanto al carbone su cui si è spesa buona parte della campagna elettorale: che si bruci pure fino al 2025 e poi… si convertirà… forse. Tanto il mandato sarà concluso e quello che spetterà ai cittadini monfalconesi sarà con ogni probabilità un termovalorizzatore ovverosia un inceneritore: parola difficile da usare in una città che come Pompei ha lasciato tanti suoi morti sepolti dalla polvere. Il porto intanto continua a vomitare autotreni che intasano la città le cui strade sono sempre più malridotte, insicure e senza manutenzione.
Si fa affidamento sull’aumentare degli stranieri (una persona su quattro è straniera senza contare le migrazioni interne) che da un lato vengono additati a demonio che disgrega la società monfalconese, dall’altro vengono sfruttati nelle fabbriche e, ricattati come sono per lavoro e permesso di soggiorno, non si lamenteranno certo se verranno uccisi lentamente con inquinamento e tagli ai servizi sociali e sanitari. La grande industria doveva scegliere se spostare la produzione nel terzo mondo ma poi ha optato per portare il terzo mondo qui…
A preoccupare in maniera allarmante è il clima che si respira. I contributi culturali sono ultraconservatori, nazionalisti quando non apertamente fascisti. Dibattiti sulla famiglia con noti grassoni in gita a deridere i diritti delle donne, mostre pittoriche curate da ex picchiatori fascisti, presentazione di libri con piagnistei revanscisti sulle “terre perdute” dopo la seconda guerra mondiale, starlette demodé dell’ultradestra gonfiate di droga e botulino a fare da madrine allo squallore di una città sempre più provinciale e paesana capace solo di ghignare e deridere con la bava alla bocca donne, minoranze e diversi.
Abbiamo dovuto assistere anche a pubbliche esibizioni di bracci tesi in cerimonie con presenza istituzionale e aggressioni fasciste e razziste. Uno sbirro smesso la divisa, assai precocemente, ça va sans dire, si veste da assessore con competenze alla vivibilità, al degrado, al decoro e Monfalcone sicura e sui social pubblica filastrocche di fanatismo intollerante a sua insaputa.
A tutto questo marciume non potevamo restare indifferenti. In seguito ad una riunione fra individualità antirazziste del monfalconese, svoltosi presso la sede libertaria del Caffè Esperanto, abbiamo espresso la necessità di un pubblico dissenso, che non sia confinato ai social media o sulla stampa locale, ma che sia riportato in piazza. Abbiamo deciso di definirci “Monfalcone meticcia”. La Monfalcone che vogliamo è diversa dagli intollerabili progetti razzisti, securitari e ostili alle nuove forme di famiglia e ai nuovi modi di vivere le relazioni. In una fredda (-2° C!!!) serata di fine gennaio eravamo in più di un centinaio in piazza con striscioni, pentole e megafoni a far sentire con determinazione e rumore la nostra contrarietà al neo-oscurantismo monfalconese e a dissociarci dalla vergogna di quel che hanno detto e fatto finora.
Un piccolo spiraglio di luce alternativo alla deriva fascista.
Monfalcone meticcia è un progetto che non vuole fermarsi e infatti il 9 marzo, qualche giorno dopo la presentazione del Piano antiviolenza di Non una di Meno, è scesa di nuovo in piazza per la libertà e l'autodeterminazione delle donne…. 365 giorni di lotta all'anno… In piazza per rendere degnamente omaggio alla Festa Internazionale della Donna e far sì che questa data – scelta simbolicamente in ricordo di un tragico episodio che coinvolse donne lavoratrici in condizioni di sfruttamento – non venga dimenticata, considerata inutile o banalizzata come un rito commerciale privo del suo reale significato di lotta e rivendicazione.
Ora le diverse sigle del sindacalismo di base che operano a Monfalcone – USI, USB, Slai Prol Cobas – daranno vita al Primo maggio alternativo e di base da svolgersi nella città dei cantieri, in quanto simbolo della prima linea dello scontro di classe in atto, del dramma delle vittime per amianto e sede storica delle mobilitazioni e delle lotte sociali del '900.
Già l’anno scorso USI, Coordinamento libertario isontino e Associazione Esposti Amianto avevano deciso di riportare la presenza e la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, dei precari, disoccupati, degli studenti, in una città laboratorio di sociale come la nostra. Quest’anno si è deciso di allargare il più possibile l'area delle compagne e compagni che possono essere interessate/i a sostenere l'organizzazione e la buona riuscita di un progetto che prima di tutto è di lotta e di rivendicazione, oltre ad essere momento di aggregazione conviviale.
Come l’anno scorso sarà la piazzetta Esposti Amianto di Panzano la sede del presidio unitario a partire dalle ore 13.00 di mercoledì Primo maggio, ciò per dare modo a tutt* di partecipare alle varie manifestazioni già organizzate alla mattina in regione.
articolo comparso su Germinal n. 128