Il vino, da destra a sinistra, da Zaia a Slow Food, va di gran moda; i calicioni di Boemia roteanti il nettare donano sempre un tocco rural-chic agli ambienti post-moderni.
Materialmente, pero’, il vino CHI lo fa?
Piace pensare che siano degli individui con il cognome riportato sull’etichetta, al 99pc pero’ sono dei comuni operai e tecnici, come in qualsiasi altra industria.
I signori dell’etichetta, tranne poche eccezioni (aziende piccolissime) sono dei comuni imprenditori che esercitano la loro professione con delle peculiarita’ pero’ rispetto agli altri settori. I punti qui sotto non si riferiscono ai “cattivi”, ma all’esperienza diretta in aziende, come si suol dire, D’ ECCELLENZA.
1) La loro produzione dipende ed e’ parte di un ecosistema. La nozione, banale, non lo e’ altrettanto per gran parte di questi signori. Se il loro reddito dipende dalla natura, possono modificare la natura per il loro reddito. Sbancano e recintano colline con i finanziamenti pubblici: estirpi un vigneto? Ti finanziamo perche’ di vino ce n’e’ troppo; pianti un vigneto? Ti finanziamo perche’ fai il bravo imprenditore. Utilizzano per una buona decina di volte l’anno prodotti chimici di sintesi. “Il glifosate (erbicida ndr)? E’ meno dannoso del sale da cucina!” quante volte l’abbiamo sentita pronunciare… si cerchino in rete le ricerche sui derivati del glifosate nelle falde (vedi anche ogm resistenti al g.). Poi i ditiocarbammati (cancerogeni, dannosi per gli insetti, anche quelli utili…allora via di acaricidi!) che sarebbero meglio del rame che usano quei fricchettoni del biologico (certo, il rame si accumula nel terreno e bene non fa, si dimenticano pero’ che nel bio ci sono limiti strettissimi sull’uso del rame, e nei prodotti sistemici spesso e volentieri il rame e’ in coformulato). Anche I lavoratori del vigneto possono beneficiare degli effetti perche’ i trattamenti quando serve vanno dati… e tu che lavori non torni mica a casa?
Bisogna tenere in considerazione che, nonostante siano perlopiu’ “studiati”, gli imprenditori agricoli si affidano ciecamente per la salute del proprio campo, ai rappresentanti venditori delle aziende (che magari hanno meno titoli ed esperienza di loro). Non hai mai avuto, chesso’, la peronospora, ma se il rappresentante ti dice che il nuovo prodotto te ne fa avere ancora di meno, anche se coltivi a risaia l’interfila, gli dici di no?
2) Gli imprenditori contano, come detto in precedenza di cospicui finanziamenti, per comprare fantastiche apparecchiature da 50.000 euro, che non vengono mai usate perche’ viene di meno un operaio a fare il lavoro a mano che il tecnico della ditta per la manutenzione.
Lorsignori vogliono costruirsi una cantina/reggia con affreschi e marmo di Carrara nelle canalette? E io pago…
3) In agricoltura il lavoro e’ regolamentato in maniera molto particolare. Esistono gli stagionali, con contratto a tempo determinato che magari seguono tutte le fasi della produzione, ma stagionali restano. Naturale, quando raccolgo ho bisogno di piu’ gente del normale, ho bisogno di una certa flessibilita’.
Quanto tempo si resta stagionali? Non c’e’ limite, puoi andare avanti di mese in mese di contratto in contratto anche tutta la vita. In questo modo il lavoratore non e’ mai ricattabile…
Come si viene pagati? Solo ed esclusivamente per quello che si lavora, a ore. Cash: 8,38 lordi, piu’ o meno 6,5 euro netti/ora. Essendo una busta paga dipendente ESCLUSIVAMENTE dal tempo lavorato, pagare in nero e’ prassi comune.
Ferie? Comprese nella paga.
13ma? 14ma? Vedi sopra.
Permessi? Vedi sopra.
Malattia: paga tutto l’INPS.
Mi ammalo/resto incinta in scadenza di contratto? Cazzi tuoi.
E quando sto a casa senza lavoro? Il sig. etichetta non spende una lira, l’INPS a fine anno elargisce una cospiqua disoccupazione agricola (anche 3000 euro).
Orari? Praticamente non esistono. Si lavora 10 ore al giorno ma non si assume, c’e’ crisi.
Novita’ degli ultimi anni: I voucher. Riportiamo per brevita’ da un comunicato della CGIL:
“Il voucher è uno strumento di retribuzione per i lavori accessori occasionali, la cui estensione potrebbe portare alla destrutturazione del mercato del lavoro e non solo di quello agricolo (estensione gia’ avvenuta poco a poco a quasi tutte le categorie, ndr). Pubblicizzato come la soluzione per fare emergere il lavoro nero, il ricorso ai voucher di fatto cancella anni di lotte e di conquiste da parte dei lavoratori: cancella il contratto nazionale, cancella i riferimenti retributivi, cancella l’accesso al sistema previdenziale ed assistenziale; rischiando, inoltre, in un periodo così tragico a causa della crisi, di scatenare una guerra fra poveri, tra coloro che strutturalmente lavoravano in taluni comparti – l’agricoltura ne è solo l’esempio più eclatante – e coloro che sono disposti ad andare a lavorare con il voucher pur di avere un reddito o di arrotondare gli ammortizzatori sociali.”
Alcune aziende per carenza di manodopera “importano’ degli stagionali dai paesi dell’est, altre aziende si affidano a societa’ che svolgono lavori conto terzi con lavoratori asiatici. Alcune “assumono” dei pensionati, altri preferiscono I lavoratori sloveni, altri ancora praticano trattamenti salariali differiti tra italiani e non.
Queste condizioni generano dei lavoratori, gia’ per “ideologia agraria” poco coscienti, ancor piu’ sottomessi, frustrati e sfruttati. Di conseguenza le figure di comando, padroni, enologi, capi e capetti sviluppano un'arroganza senza paragoni. I sindacati sono inesistenti in quasi tutte le aziende, in quelle piu’ grandi sono presenti dei burocrati-pompieri, buoni a tenere calmi, se ce ne fosse bisogno, ed a intascare i soldi del tesseramento per sbrigare delle pratiche da patronato.
In attesa del sol dell’avvenir, mi accontenterei di non veder venerare dai radical-chic e non-chic questi “vignaioli” e di sentirli chiamare col loro nome: PADRONI.